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venerdì 8 settembre 2017

L'Alveare degli artisti

Situata nel quartiere Vaugirard, al "2,Passate de Dantzig", non lontano da Montparnasse, La Ruche (ossia l'alveare) fu creata dal mecenate e scultore Alfred Boucher che acquistò la struttura durante la demolizione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1900.  

Inaugurata nel 1902, l'idea di Boucher era quella di aiutare gli artisti poveri ma talentuosi che arrivavano a Parigi da ogni parte del mondo e offrire loro i modelli e uno spazio espositivo.
Il nome della struttura piena di finestre e di atelier con artisti al lavoro ricordava appunto l'alveare delle api.
Gli artisti che vi abitavano molte volte non riuscivano a pagare l'affitto bassissimo, ma Boucher non ha mai sollecitato né cacciato nessuno.
Tra gli artisti più famosi che hanno vissuto alla Ruche ricordiamo  Amedeo Modigliani, Lorenzo Viani,  Fernand Léger, Marcel Damboise, Diego Rivera, Soutine, Luigi Guardiani, Marc Chagall e altri.
Fu proprio Chagall che, in qualità di presidente onorario, insieme ad altri artisti e un magnate contribuì a riprendere le sorti della Ruche, la quale rischiava la demolizione in seguito al declino riscontrato durante la seconda guerra mondiale e al boom immobiliare del 1968: fu riacquistato il terreno e fatto dono alla Francia creando una fondazione nazionale.
Tutt'ora vi abitano artisti di ogni nazionalità.
Purtroppo la struttura non è aperta al pubblico, ma vale la pena soffermarsi a visitare l'esterno.




venerdì 28 aprile 2017

"SENZA IL VELO DI MAYA"

"Senza il velo di Maya" è l'inedita raccolta di opere dell'artista Giuseppe Portulano che ho avuto il piacere di intervistare per la rivista d'arte bolognese Art Journal.
Durante il nostro incontro, Giuseppe mi ha mostrato diverse opere in esposizione all'enoteca "Trionfo dei taglieri" (Bologna), che vanno dal figurativo all'astratto, che abbracciano oggetti d'uso quotidiano e smalti, spray, vernici....
"ATELIER" e "STUDIO DENTISTICO"
Con maggiore entusiasmo mi ha presentato i suoi ultimi lavori del progetto "Senza il velo di Maya", opere con cui l'artista invita ad osservare la realtà senza alcun filtro, "senza veli". Difatti, l'unico richiamo alla realtà è dato dagli objet trouvé, oggetti di uso quotidiano.  Gli Assemblages di Portulano, in questo caso, rappresentano diversi luoghi lavorativi riconoscibili da oggetti tipici di questi spazi che catturano lo sguardo dell'osservatore coinvolgendolo nell'opera stessa.

Per altre notizie e immagini vi invito a visitare il sito dell'artista cliccando su Giuseppe Portulano !!!
 
"BOUTIQUE"

"MERCERIA"

pagina della rivista Art Journal

"CIRCOLO TENNIS"

venerdì 17 febbraio 2017

Addio all'artista Jannis Kounellis, tra i maggiori esponenti dell'Arte Povera

La sera del 16 Febbraio 2017 si è spento a Roma, all'età di 80 anni, Jannis Kounellis, uno dei maggiori esponenti dell'Arte Povera.
Nato in Grecia nel 1936, giovanissimo si trasferì a Roma negli anni Cinquanta per studiare all'Accademia delle Belle Arti, sotto la guida di Toti Scialoja.
Benchè da giovane fosse stato influenzato dall’espressionismo astratto e dall’informale di metà Novecento, la sua carriera artistica è rimasta profondamente legata all’esperienza dell’Arte Povera, così definita dal critico Germano Celant.
Nel 1960 esordì a Roma con la sua prima mostra personale alla galleria “La Tartaruga”. 
Le sue ricerche partirono da una tela bianca, sino a oltrepassare i limiti della pittura e ad arrivare al rifiuto dei mezzi tradizionali. Dopo qualche tempo Kounellis si avvicinò alla performance e all'uso di materiali organici e inorganici come il legno, il carbone, la juta, il ferro, animali vivi e brandelli di carne.
Le prime mostre che lo hanno avvicinato al movimento dell'arte povera risalgono al 1967. Tra le più significative ricordiamo quella del 1969 a Roma, nella galleria di Fabio Sargentini, dove l'installazione divenne vera e propria performance con 12 Cavalli vivi legati alle pareti della sala; ciò comportò il totale stravolgimento dello spazio e dello spettatore, in uno scontro ideale tra cultura e natura, in cui l'artista si ridusse al ruolo marginale di artefice e l'opera si realizzò nella partecipazione e nella relazione con il pubblico.
Negli anni Settanta partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia e negli anni Ottanta urtò la sensibilità del pubblico a Barcellona, esponendo quarti di bue macellati.
Di fama internazionale, Kounellis ha operato in città importanti come Roma, Londra e Colonia. Col nuovo millenio ha varcato le frontiere europee, toccando mete quali l'Argentina e l'Uruguay.






martedì 31 gennaio 2017

"CONFINE" di Debora Smith

In occasione della mostra HERE AND NOW tenutasi al MuseOrfeo Homegallery di Bologna, ho curato il lavoro della fotografa Debora Smith dal titolo "Confine", incentrato sulla tematica dell'eros e del tabù.
Debora Smith (nome d'arte di Debora Pasquini) nasce ad Atessa in provincia di Chieti il 26 Ottobre 1991. Da sempre appassionata di arte e di fotografia, durante l'adolescenza inizia a scattare in analogico. Da allora non ha mai smesso di fare foto, come se si trattasse di un bisogno innato.
<<Cosa rappresenta di preciso per me la fotografia devo ancora capirlo, so solo che se ho un'idea devo immediatamente mettermi all'opera. Scattare è diventato una priorità assoluta>>, afferma.
Affascinata dal rapporto con le altre persone, si occupa generalmente di ritratti.
Confine è nato in maniera del tutto casuale: le fu proposto di lavorare per un'esposizione incentrata sulla tematica del tabù e contemporaneamente stava gia progettando una piccola serie sull'eros. La masturbazione femminile è al centro di tutto il lavoro e il confine da oltrepassare è quello dell'imbarazzo che il più delle volte avvolge questo argomento. Questo limite va superato per arrivare ad una totale conoscenza di sè stesse. 
<<Solitamente preferisco lavorare con le donne, soprattutto per questo progetto, sia per una mia immedesimazione, sia perchè una donna che ne fotografa un'altra crea un'intimità particolare, in un certo senso rassicurante>>, dichiara la Smith, ed effettivamente ciò che colpisce delle fotografie è la tranquillità con cui queste figure si lasciano andare alla loro intimità.
Le ragazze sono riprese in uno spazio casalingo e l'occhio della fotocamera si sostituisce a quello del fruitore e della fotografa stessa, assumendo un atteggiamento voyeuristico, come se si guardasse la scena attraverso il buco della serratura. Gli scatti infatti sembrano fatti quasi di nascosto, come per non interrompere un momento così intimo.
Delle cinque foto che compongono il lavoro una è un autoritratto, dove in primo piano, a coprire il sesso della fotografa, vi è un libro aperto: si tratta del romanzo di Milan Kundera L'insostenibile leggerezza dell'essere, molto caro alla giovane abruzzese.
La scelta, prima di tutto estetica, non è casuale: <<Il libro ha una visione molto intima e tragica dell'amor proprio e dell'amore come sentimento. mi piace questa visione intima: l'autore, come io per il mio progetto, racconta tenendosi un po' a distanza. In più penso stia bene con il concetto di autoerotismo, magari durante la lettura del libro stesso>>, spiega la fotografa. Mirata è stata anche la scelta l'edizione Adelphi del 1985 per l'immagine di copertina, Le Pleides di Max Ernst del 1921, dove una figura sensuale si libra nell'aria contro la forza di gravità, mentre una roccia precipita in basso. 
L'opera di Ernst è strettamente connessa all'intero lavoro di Debora Smith, poichè rappresenta la forza prorompente dell'eros che vince ogni ostacolo, che abbatte ogni Confine.


martedì 24 gennaio 2017

KLIMT EXPERIENCE? NI


Per il mio compleanno sono stata nella magnifica Firenze e ho fatto tappa a Santo Stefano al Ponte, una chiesa sconsacrata che dal 26 Novembre 2016 al 2 Aprile 2017 ospita KLIMT EXPERIENCE.
Essendo la prima, non sapevo bene cosa aspettarmi da una mostra virtuale, ma ho partecipato con la convinzione di assistere a un qualcosa di unico e particolare.

L'Experience è divisa in due momenti: inizialmente siamo stati invitati ad entrare nella sala dov'erano proiettate su maxischermo le opere di Klimt accompagnate da un delizioso gioco di luci e musica classica. Nulla da ridire sull'allestimento multimediale: sul pannello centrale veniva proiettata l'opera, i cui dettagli erano visibili lateralmente, sugli schermi più piccoli. Colori, luci, ombre, dettagli, musica, tutto giocava a favore di un coinvolgimento emotivo che non ho provato. Troppe opere. Troppo tempo.
L'atmosfera creata è senza dubbio avvolgente, ma poco istruttiva e personalmente non mi sono sentita "immersa emotivamente nelle opere". 
Dopo circa un'ora sono uscita dalla sala e mi hanno invitato a vivere un'esperienza virtuale con i visori VR della Samsung che fanno entrare all'interno di 4 quadri. Nulla di che. Apprezzo la novità e il lavoro che c'è dietro, ma trovo sia inadatto ad una mostra d'arte su un autore come Klimt. 
E' un'esperienza da provare dal punto di vista tecnologico, ma per 13€ l'arte può offrire molto di più.
La consiglierei? Ni.